presenta
A OCCHI CHIUSI
UUno, due, tre, quattro, cinque.
Quanti manifesti Campari ti vengono in mente?
Chiudi gli occhi e immagina il dorso bianco di un palazzo di, non so, venti piani, di quelli che per guardarlo per intero devi reclinare la testa all'indietro.
Immaginalo bianco,

Si dice che il bianco sia il colore del diavolo, che prima di essere dipinto spedisca nel panico anche i migliori artisti. E ora immagina la firma di Marcello Dudovich sulla prima grande opera, che segna l’ingresso di Campari nella storia dell’arte: il famoso manifesto del bacio del 1901, l’archetipo artistico della passione, un rosso che illumina, esalta e colpisce per la sua predominanza estetica.
Coppia al Tabarin è un manifesto che è un boomerang: lo lanci lontano e ti ritorna indietro con tutti gli sguardi ancora appiccicati addosso. E più lontano lo lanci più occhi cattura.
Tieni ancora gli occhi chiusi
e continua a immaginare uno

avvolto nella buccia d'arancia
Viene dall'estro di Leonetto Cappiello, il primo illustratore a personificare il vero spirito di Campari. La sua arte apre la strada a un vero genio del design: Fortunato Depero, l'inventore della bottiglietta monodose Campari Soda.
Il suo Squisito al seltz, dipinto a olio futurista, influenza la comunicazione visiva a tal punto da restare negli annali come un punto nodale non solo della pubblicità ma soprattutto dell’arte.
Era il 1926 ma l'opera era così avanti che poteva essere benissimo il 2000: il dinamismo delle forme, la parentela con il Dadaismo di Duchamp e soprattutto la volontà di liberare l’arte dai muri asettici dei musei e renderla fruibile a tutti, nella quotidianità della gente, per le strade.
In un tempo in cui la street art ancora non c'era, Campari l'aveva già inventata: cos'era in fin dei conti, un Depero affisso per strada se non street art?
Potremmo parlare per ore del successo mondiale, della copertura planetaria, di quanto questa comunicazione abbia fatto epoca. E invece continua a visualizzare, a occhi ben chiusi, il dorso del muro immaginario e cerca lo spazio per un’opera che ha fatto la storia: il Manifesto Campari.
In una scala da uno a dieci qui siamo a centomila.



Si inaugura la linea metropolitana M1 di Milano
Bruno Munari realizza un poster quasi caleidoscopico, su campitura rossa, zeppo di icone grafiche Campari. Immaginalo affisso su bianco, ma immaginalo anche tra i prestigiosi archivi del MoMa.
Ancora a occhi chiusi, guarda le opere affastellare il dorso del palazzo, soffocare il bianco della calce. Pian piano si aggiungono altre opere di Mora, Tallone, Sacchetti, Sinopico. E ancora il grande artista delle silhouette di carta Ugo Mochi, Franz Marangolo, Dudovich, lo Sputnik di Nino Nanni.
E come non citare Crepax, non ultimo di tanti nomi, tante immagini, tutte affisse in questa grande galleria a cielo aperto che solo la prospettiva visionaria di una bottiglia così devota all'arte poteva concepire.
E ora fai un passo indietro rispetto al muro, immaginalo scintillare alla luce del tramonto, immaginalo trafitto da sguardi avidi di bellezza, immerso nel silenzio dello stupore.
Riapri gli occhi, pensa a quanti marchi illumineranno per sempre le tue retine, come ha fatto Campari con i suoi manifesti.
È un conto alla rovescia, un conto a scendere.
Non sono tanti, nemmeno dieci. Forse anche meno.
Cinque, quattro, tre, due.
