presenta
Il segreto
nel cuore
della montagna.
TTerminato l'inverno, sui crinali dei monti c'erano ancora quei venti centimetri di bianco che rendevano l'aria gelida, nonostante i possenti raggi di sole irradiassero di caldo e primavera i volti incuriositi dei cittadini di Bormio.
In via Roma, infatti, non si parlava d'altro, tra i negozi e l'edicola, ma soprattutto nelle locande. Erano passati due anni dalle prime voci di quell'invenzione segreta lasciata invecchiare in grandi botti di rovere cerchiate di rosso nel cuore della montagna.
Saperne di più
era impossibile.
Persino don Giulio, che dei concittadini conosceva vita, morte e soprattutto miracoli, figurava tra coloro i quali, tra le strade di paese, tra una chiacchiera e una benedizione, chiedeva notizie su quell'infuso segreto al sapore di erbe, radici e bacche valtellinesi di cui tutti parlavano ma nessuno, in fondo, sapeva.
Un segreto custodito con
cura dalla famiglia Peloni.
A quell'epoca, nel 1875, in un borgo così piccolo, poi, nessun segreto poteva essere custodito così a lungo. Quello era forse l'unico esempio di riserbo completo.
In quella stua che dà ancora su via Roma, Francesco Peloni, figlio del farmacista di Bormio e testimone dell'esperienza di suo padre, aveva in mente non solo di concentrare un sublime equilibrio di sapori nel suo amaro.
Voleva per giunta conferirgli un nome importante, che avesse le radici ben piantate in quei luoghi: Braulio, come uno dei monti che incoronano la conca di Bormio.
Quando, di tanto in tanto, dalla sua farmacia si sprigionavano i tanti aromi che stuzzicavano le narici del paese, scattava la gara a chi azzeccava più ingredienti. Era incredibile: a ogni sorso sembravano diversi, data la delicata complessità del loro equilibrio.
esclamava qualcuno ai Bagni Romani, luogo culto al profumo di essenze alpine in cui trovavano ristoro i viandanti che si incamminavano verso lo Stelvio.
urlava il barbiere, al lavoro sull'acconciatura del sindaco, sempre molto serio, con una riga perfetta tirata di lato.
diceva il Codini, il vecchio del paese, risvegliandosi di colpo dal suo sonnellino pomeridiano.
La Balestrazzi, la fiorista, che di profumi s'intendeva eccome, riuscì forse a decifrare anche uno degli ingredienti più complessi: la achillea moscata, una pianta che cresce sulle Alpi, a una quota che va dai 1400 fin oltre i 3000 metri, in grado di resistere a temperature inferiori a -23 °C.
Un olfatto da record.
In quanto al resto degli ingredienti, be', nessuno sapeva altro. L'anima calda e avvolgente di quella ricetta ne conteneva molti e altrettanti erano i segreti della preparazione, custoditi da un’arte tramandata con cura, proprio in farmacia, come l'essiccatura e l’uso sapiente delle erbe, bacche e radici all'aria aperta, la pestatura fatta al mortaio e l'utilizzo di acqua pura di montagna.
Trapelava poco altro.
Insomma, sembrava di stare in una storia di spionaggio misteriosa e affascinante. La curiosità era enorme.
Tutti ne parlavano.
In due anni, si era accumulata in paese una tale quantità di brusio da far tremare le foglie degli alberi. Finché, al termine del periodo di affinamento nelle botti, Francesco Peloni decise di aprire le porte della cantina alla cittadinanza tutta.
Il sindaco, con tanto di fascia e capelli fin troppo pettinati, si fece strada scansando gli altri, stabilendo per sé il diritto di essere il primo a prendere in consegna dalle mani sapienti dell’inventore il primo bicchiere di Braulio.
Colpito ed estasiato dal gusto, non disse A.
I concittadini capirono dal movimento dei baffoni che si trattava di un capolavoro.
Finalmente, sfoderando un ampio sorriso, il sindaco invitò i suoi concittadini ad assaggiare