Averna

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Sicilia,
un sorso alla volta

“Cosa mi consiglia?”
“Un Averna, Signore.”

Ho gli occhi quasi chiusi, infastiditi e benedetti dal sole di questa terra, ma i colori placidi del dopo pranzo siciliano si insinuano comunque senza fatica tra le mie ciglia. Il cameriere che ha raccolto il mio ordine ci metterà il tempo che occorre.

D’altronde, che significato ha l’attesa su un’isola la cui ricchezza si è accumulata nel tempo? Il tempo delle contaminazioni dei popoli invasori, che hanno costruito più di quello che hanno distrutto. Il tempo delle arance, dei melograni e degli infusi di erbe. Il tempo che si dilata qui, in questo contemporaneo siciliano, mentre attendo il mio amaro. Il suo tempo.

Hanno capito subito che sono straniero e si sono prodigati nel nutrire il mio corpo e la mia anima con tutta la vivacità della loro terra. Sono su un’isola, eppure sento di essere meno isolato che in tutto il resto dei paesi che ho visitato.

“Ecco a lei”
“Thank You.”

Sul tavolo ora c’è solo un bicchiere di Averna pieno di aromi: lo sollevo, lo avvicino al mio sguardo e osservo le persone intorno a me attraverso il suo colore ambrato. Tutto adesso è caldo, familiare, accogliente.

Il primo sorso.

Un pesante remo di legno distrugge la forma perfetta di un’onda, che, riflettendo la luce del sole, si aggiunge all’intermittenza delle altre scintille sull’acqua. Il profumo del mare si mescola a quello degli agrumi e della liquerizia.

Allontano con uno scatto diffidente il bicchiere dalle labbra, lo osservo: io e te, piccolo oggetto, siamo appena andati somewhere else.

Sento il rumore di un pesante sacco di spezie che viene scaricato da una nave. Le erbe sfregano sulla iuta, sollevano polveri colorate e compongono una sinfonia orientale che non riesco a decifrare.

Solo le parole dei mercanti la interrompono: stanno discutendo con i monaci dell’Abbazia di Santo Spirito, a Caltanissetta, per decidere dove riporre i sacchi ripieni di erbe e di spezie.

Uno dei mercanti, in disparte, srotola una bobina di velluto blu, ma un monaco scuote la testa e sorride, gli porge un rotolo ben più modesto. Ed è proprio quel rotolo di carta grezza, con la sua ricetta segreta, a far sentire ora al mercante il profumo delle spezie presenti nel monastero in modo completamente diverso.

“Grazie Fra Girolamo,

questo infuso saprà di Mediterraneo.”

Appoggio il bicchiere sul tavolino di legno intarsiato e mi lascio avvolgere dalla vivacità dei colori intorno a me: il giallo, l’azzurro e il bianco di questa città si intrecciano e si amalgamano, circondandomi, rendendomi parte di una combinazione senza fine di maioliche variopinte.

Osservo meglio: quelle piastrelle colorate si stanno muovendo, parte di un grosso quadro trasportato da uomini altrettanto grossi. Stanno allestendo una mostra di arte contemporanea, dall’altro lato della piazza.

Ancora pochi sorsi e sarà finito il mio viaggio. Circondo il bicchiere con le dita, ci teniamo l’uno stretto all’altro in una danza di scoperta.

Un altro sorso.

“Desidera altro?”

Eccomi ancora seduto in questo bar, con gli occhi semi chiusi. Ora però, nell’ultimo sorso, straborda l’oro dei mosaici bizantini, disturbato solo dalla figura di un giovane cameriere che mi osserva con aria interrogativa.

Quante esperienze mi hanno attraversato, in questa piazza di Palermo. Le lascio depositare sul fondo del bicchiere, sciolte insieme al ghiaccio, riflesse nella fronte lucida del cameriere che, pacato, attende ancora una mia risposta. In questa terra decido di lasciare anche un po’ di me, così da riequilibrare lo scambio. Just a little.

Quest’isola, attraverso il suo sapore dolce-amaro, mi ha appena mostrato la sua anima.

Il cameriere sta ancora aspettando.

“Quanto tempo è passato?”
“Il suo tempo, Signore.”

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The Spiritheque